DI QUA DAL FARO

Manifestazioni di conflitto sociale in Sicilia.

Molto si è detto a proposito del Movimento dei Forconi, di “Forza d’Urto” e delle proteste che in questi giorni hanno paralizzato la Sicilia. Il blocco dell’Isola è stato promosso e organizzato da precise categorie sociali e lavorative: agricoltori e autotrasportatori all’inizio, seguiti – quasi subito – dai pescatori di alcune marinerie e, via via, da edili, artigiani, commercianti, studenti, disoccupati, diventando nel giro di pochi giorni il collante del diffuso malcontento sociale. I motivi scat enanti della protesta sono legati all’aumento vertiginoso dei costi di produzione e della pressione fiscale, allo strozzinaggio dei mercati e della grande distribuzione verso i produttori agricoli. Tutti elementi che contribuiscono a innalzare vertiginosamente il costo della vita, a ridurre il reddito e a indebitare in maniera pesante parecchie categorie. Queste proteste si sono sviluppate in tutta la Sicilia anche se con modalità e connotazioni diverse a seconda dello scenario territoriale e sociale. Durante i blocchi delle strade, delle infrastrutture industriali, delle autostrade, dei porti, i manifestanti hanno espresso modalità diversificate. Non è un movimento omogeneo né lo si può incasellare secondo le solite categorie ideologiche. Limitarsi a giudizi trancianti nei riguardi di questi movimenti sarebbe però sbagliato. Nulla in Sicilia può essere compreso se non ci si sforza di analizzare il contesto. Da sempre, in questo territorio, la pace sociale è stata garantita da un sistema politico-clientelare e mafioso che ha ingessato la società siciliana fin nelle sue intime fibre. In Sicilia il welfare è stato costruito con il ricatto permanente dei bisogni, con la politica dei favoritismi e dei privilegi, con lo sperpero delle risorse pubbliche, con i finanziamenti a fondo perduto. Tutto questo non ha mai creato una vera realtà economica e produttiva. In tempo di capitalismo globale, quando la crisi fa saltare tutti i punti di riferimento possibili, è chiaro che la Sicilia – terzo mondo dell’Occidente – venga investita in pieno da questa devastazione. Settori che prima erano garantiti da politiche assistenziali si trovano oggi abbandonati a loro stessi, con una classe politica regionale che non è più in grado di forni re reddito. I politici pensano solo alla loro sopravvivenza, cercando di restare aggrappati ai loro privilegi. Non è casuale che Confindustria e sindacati abbiano criminalizzato immediatamente questo movimento tacciandolo di essere infiltrato dalla mafia. Vogliamo ricordare che, storicamente, Conf industria in Sicilia è stata espressione della borghesia mafiosa, contribuendo a consolidare il potere economico di Cosa Nostra. I sindacati, dal canto loro, non hanno fatto mai nulla per impedire che l’economia siciliana si sviluppasse realmente ma, anzi, sono stati parte integrante di questo sistema di favoritismi, clientele e privilegi. Tutto questo non significa che all’interno delle proteste non ci possano essere elementi mafiosi e fascisti. La storia dei movimenti popolari in Sicilia ci insegna che determinati soggetti, nei periodi di conflitto sociale, sono sempre pronti a svolgere un ruolo non secondario nelle vicende dell’Isola. Questa constatazione ci induce a non rimanere indifferenti e distanti rispetto a quello che sta succedendo o a ciò che potrà succedere in futuro. Il conflitto in atto ha messo in moto energie popolari fino ad ora bloccate dal controllo e dalla delega e ha risv egliato una voglia di partecipare in prima persona impensabile fino a poche settimane fa. Quello che ci importa, pertanto, è rilanciare, estendere e radicalizzare l’iniziativa dal basso, anche in una fase successiva all’attuale mobilitazione, individuando gli obiettivi unificanti e che vadano nel senso da noi auspicato di gestione pubblica, di base, diretta e popolare delle risorse, dei servizi, delle attività lavorative. Senza padroni e senza padrini.

Federazione Anarchica Siciliana

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