SOLIDARIETÀ
INTERNAZIONALISTA
ANTIMILITARISTA
La guerra calda
La terza guerra mondiale si avvicina. Possiamo ormai dirlo senza il punto interrogativo che abbiamo utilizzato per anni.
La corsa al riarmo ha intrapreso una china pericolosa in tutto il globo terrestre; a fronte dei sempre più gravi e irreversibili problemi climatici, alimentari, ambientali che affliggono l’intera Terra, gli Stati investono risorse ingentissime nella costruzioni di armi di distruzione sempre più sofisticate e conducono a vari livelli guerre in cui le popolazioni sono le prime vittime.
Si parla apertamente di guerra fredda, omettendo di dire che ai tempi della guerra fredda vigeva il principio (aberrante, ovviamente) della deterrenza, mentre adesso vige quello dello scontro diretto fra potenze imperialiste, in Ucraina, in Palestina, in Africa e in tanti altri posti “dimenticati”. La guerra è calda e si surriscalda ogni giorno di
più. Sono così tanti i segnali, che ormai si fa fatica ad elencarli.
E parole come “pace”, “diplomazia” sono scomparse dal linguaggio politico e mediatico, che conosce solo termini come “vittoria”, “nemico”, “aumento delle pese militari (eufemisticamente chiamate “per la difesa”).
Il vertice NATO di luglio ha sancito questa strategia suicida che ha il suo fulcro nel conflitto in Ucraina, terreno in cui la sfida interimperialista è più avanzata e in cui la NATO e gli USA stanno puntando per una vittoria sul campo a tutti i costi. Costi in vite umane (oltre mezzo milione di morti e milioni di invalidi, la maggior parte civili); in distruzioni di città e infrastrutture; in storno delle risorse per la guerra da capitoli importanti come servizi, strutture, salari, welfare, come in Italia abbiamo denunciato da anni.
L’Italia torna da Washington con il nono pacchetto di vendita di armi allo stato ucraino: difesa anti-aerea Samp-T e missili Shadow; con l’aumento della spesa militare per il 2024 e l’impegno a contribuire alla NATO con il 2% del PIL. Inoltre ha spalancato le porte delle
basi militari ai nuovi assetti NATO (leggasi: missili), come a Vicenza. Come se ciò non bastasse, acquisterà 24 cacciabombardieri Eurofighter da 300 milioni l’uno, per una
spesa complessiva di 7,5 miliardi. In materia di missioni, oltre ad aver confermato le preesistenti, il governo ne ha varate tre nuove (Levante, nell’area mediorientale e del mediterraneo orientale; Aspides, in funzione anti Yemen nel Mar Rosso, Golfo di Aden e
Golfo Persico; Agenor nello Stretto di Hormuz), con una modifica della legge 145 del 2016 in modo da scavalcare il Parlamento a cui vanno concessi 5 giorni per esaminare una procedura accelerata del Consiglio dei Ministri, che poi ha via libera nel rafforzamento dei mezzi e delle unità in missione. I costi sono lievitati da 1,71 miliardi del 2023 a 1,82 miliardi nel 2024.
L’Italia è pronta a intervenire in una prossima guerra (si veda anche l’accordo in tal senso tra Leonardo e RFI del 15 aprile scorso), e si atteggia a potenza imperiale con interessi nazionali da difendere in diverse aree del Mondo (coincidenti con gli interessi di ENI), e in particolare in quello che, con cipiglio coloniale, viene definito “Mediterraneo allargato”, ambito dentro il quale è stato previsto il famigerato Piano Mattei per alcuni paesi africani, in gran parte atto a definire politiche antimigratorie e segregazioniste.
La Sicilia nella spirale mafia-militarismo
La Sicilia come ben sappiamo è da lungo tempo al centro di tali strategie che la proiettano immediatamente nel nuovo conflitto mondiale.
Dal dopoguerra in poi è sempre stata la punta di lancia del militarismo statunitense (come del resto tutta la penisola italiana).
La nostra isola, per la parte politica amministrativa è gestita dallo stato Italiano e per tutte le altre situazioni, in particolar modo quelle militari e di carattere geopolitico, dagli americani.
Alla mafia è demandato il controllo a livello sociale ed economico.
Come anarchiche ed anarchici della FAS pensiamo che in caso di estensione della guerra sul nostro territorio la mafia sarà il soggetto politico che cercherà in tutti modi di impedire qualunque forma di opposizione al conflitto. Del resto l’abbiamo vista in azione ai tempi
della lotta contro la base missilistica di Comiso, fino alla battaglia contro il MUOS di Niscemi, e nella gran parte degli appalti delle basi USA e NATO, in particolare a Sigonella.
Per queste ragioni non possiamo fare finta di nulla: la mafia continua a rimanere una realtà cardine delle logiche di comando.
A tal proposito non dobbiamo dimenticare che la Sicilia ha una classe politica traversale, sia essa “progressista” o conservatrice-reazionaria, impegnata con ogni mezzo per il mantenimento dello status quo, di cui la mafia è perno fondamentale, soggetto
imprescindibile per garantire ordine e controllo sociale.
Uno dei compiti che un possibile movimento di liberazione sociale deve avere in Sicilia (e non solo), deve essere pertanto quello di opporsi e combattere la mafia. La distruzione della borghesia mafiosa diventa obiettivo imprescindibile di qualunque dimensione sovversiva che si ponga contro lo stato ed il capitale.
Siamo ben consci che il movimento contro la guerra che si è sviluppato in Sicilia, ha svolto negli ultimi mesi iniziative importanti contro l’industria bellica ed a sostegno alla causa palestinese, ma non dobbiamo nasconderci che esso rimane un movimento di militanti, che non riesce (o non riesce più) a portare in piazza le persone comuni con l’obiettivo di opporsi alla guerra. È un movimento debole, e temiamo che in caso di un possibile coinvolgimento bellico rischierebbe seriamente di essere spazzato via dalla repressione.
Le ulteriori restrizioni securitarie all’agibilità politica dei movimenti lo confermano. Il clima bellico sta portando la repressione del dissenso; ogni minima voce discordante viene tacciata di collaborazionismo con i nemici della “Democrazia”. Eppure in Sicilia si è sviluppata la lotta ultra-decennale del Movimento No MUOS che in determinati momenti è stato realmente di massa. Crediamo che non ci siano altri antidoti alla repressione che quello di ricostruire quel tipo di movimento.
La terza guerra mondiale
Le recenti mobilitazioni sulla Palestina, purtroppo per una certa miopia da parte dei promotori, non sono riuscite ad avere quella portata dirompente che avrebbero potuto avere se si fossero inserite nel quadro generale della lotta contro la Guerra. Invece le si
è volute focalizzare sulla sola questione Israelo-Palestinese, senza capire che questa volta essa si svolge pienamente all’interno dello scontro imperialista che vede contrapposto l’occidente liberista e autoritario all’imperialismo dittatoriale Cinese e Russo, con la partecipazione dei regimi fascisti e autocratici di Turchia e Iran, che cercano di ritagliarsi uno spazio vitale come potenze imperialiste, facendo leva su un Islam Politico come attore indipendente.
La neonata esperienza dei BRICS è in corso d’opera, ma in questo momento sono le alleanze militari a cambiare le carte in tavola.
Anche da questo quadro emergono i tanti segnali di una guerra che coinvolgerà la Sicilia e l’Italia.
L’attentato a Donald Trump in corsa per elezioni presidenziali di novembre, e la profonda spaccatura creatasi sin dal tentato colpo di stato di Capitol Hill, ci fanno capire quanto gli Stati Uniti siano a rischio guerra civile. Ci troviamo di fronte ad una situazione di caos
globale: il conflitto Russo-Ucraino e la guerra in Palestina ci indicano come il mondo a guida americana abbia esaurito la sua spinta egemonica. La risposta però è ancora la guerra!
Come dimostra il recente vertice Nato tenutosi oltreoceano che ha visto anglo-americani e Comunità Europea prepararsi ad affrontare militarmente la Russia (e non solo).
Il sostegno alla causa palestinese
La guerra che in Palestina lo stato di Israele conduce contro il popolo Palestinese ci rivela sempre di più una logica basata sul massacro ed il genocidio, a cui si contrappone la strategia di Hamas, che risulta funzionale alla propria logica di dominio: infatti questa guerra asimmetrica ci dimostra in tutta evidenza la volontà di potenza delle rispettive dirigenze politiche.
Per questo, pensare che il 7 ottobre sia stata un’azione della resistenza palestinese contro il colonialismo sionista è miope e riduttivo. A nostro avviso quanto avviene a Gaza risponde all’esigenza di aprire il secondo fronte di guerra mondiale contro l’imperialismo yankee, di
cui sono vittime la popolazione della striscia di Gaza e la possibilità di perseguire una coesistenza politica pacifica tra palestinesi e israeliani.
La resistenza palestinese, murata dentro un ottica religiosa e nazionalista, fa solo il gioco degli imperialismi autocratici e religiosi, così come l’asservimento dell’Autorità palestinese alle logiche occidentali continuava a perpetuare il tallone di ferro israeliano.
Chi paga tutto questo sono i proletari palestinesi, con un immane contributo di sangue.
Tutto ciò non può che limitare ogni pratica internazionalista, mancando, nell’attuale classe dirigente palestinese (della Striscia di Gaza come della Cis-Giordania) quella prospettiva rivoluzionaria, o quantomeno progressista, da difendere e sostenere.
Opporsi all’immane tragedia causata dal governo e dall’esercito israeliani non ci può esimere dalla critica militante al modello societario integralista, patriarcale, gerarchico, fondamentalista che la dirigenza di Hamas rappresenta, confermato anche dal sostegno che riceve da dittature e petro-monarchie (Iran. Qatar, Turchia, ecc.) dove vengono cancellati i diritti delle donne, dove le opposizioni vengono messe a tacere, dove popoli come quello
curdo vengono massacrati.
Il sostegno internazionalista alla causa palestinese deve essere indirizzato verso tutte le forme di opposizione laiche, antimilitariste, rivoluzionarie e rivolgersi, nel contempo, anche a quella, seppur minoritaria parte della società israeliana che rifiuta il
sionismo e il colonialismo, disertando la guerra.
È stata importante la presenza dei giovani americani di cultura e religione ebraica all’interno del movimento universitario, perché ha portato ad un confronto con la componente palestinese, e prefigura un modo diverso di affrontare la questione israelo-palestinese.
Guerra e clima
La guerra mondiale in corso ci riporta prepotentemente dentro la questione climatica. L’apparato industriale e militare, parte integrante di tutti i sistemi imperiali in gioco, è uno dei fattori del cambiamento climatico in atto. Per questo è importante spingere il movimento contro la guerra verso una unificazione delle lotte con il movimento ecologista.
In Sicilia (ed in Italia) è importante che si costruisca una unità di intenti che unifichi ad esempio le lotte contro la devastazione ambientale o per la mancanza di acqua, perché fermando la catastrofe ambientale si ferma la guerra.
Sostegno internazionalista a rivoluzioni e rivolte
Chi sceglie di schierarsi con un esercito e uno Stato, magari per bisogno di autodifesa, come alcuni anarchici ucraini e dell’est; o chi, per opportunismo politico – come alcuni settori anticapitalisti – sceglie di schierarsi con i fondamentalismi religiosi ed i regimi russo e cinese, consegna ai signori della guerra la trasformazione del pianeta, permettendo ancora una volta lo sfruttamento e l’oppressione degli umani e di tutti gli altri esseri viventi.
Sta a noi rovesciare questo presente e il suo grigio futuro, sostenendo tutte le rivoluzioni e le rivolte che in ogni dove della terra, dal Chiapas al Rojava, dall’Africa all’India, passando dalle Città del Mondo, qui ed ora, creano una società di liberi/e ed eguali.
Non si tratta di proporre ed esportare modelli, ma di far circolare pensieri, idee e pratiche da modellare in situazioni differenti.
Il disfattismo antimilitarista
La guerra è all’origine dell’ordinamento attuale della società, fondato su rapporti di dominio, sfruttamento e oppressione. Per questo manteniamo la nostra posizione di netto rifiuto della guerra e ci riconosciamo nell’idea del disfattismo rivoluzionario.
Il disfattismo rivoluzionario è una posizione di opposizione alla guerra che si pone l’obiettivo della disfatta del governi e della classe dominante del proprio paese.
Il disfattismo non accetta la pace sociale imposta dai governi in tempi di guerra attraverso la censura e la repressione che arriva fino a comprendere la legge marziale.
In risposta a tutto questo si risponde con la lotta contro il governo, attraverso il sabotaggio della guerra, appoggiando le lotte sociali.
Il disfattismo agisce all’interno di un ottica internazionalista e rivoluzionaria con lo scopo di provocare la sconfitta dell’imperialismo del proprio paese.
L’impegno di chi si oppone alla guerra deve essere lo sviluppo della propaganda antimilitarista, la realizzazione e la diffusione di pratiche di disobbedienza civile e di sabotaggio all’interno delle strutture civili pubbliche e militari che concorrono allo sforzo bellico ed al coinvolgimento diretto nelle operazioni di guerra.
In questo quadro diventa di primaria importanza la solidarietà e il sostegno a tutti coloro che disertano e diserteranno; la parola d’ordine della diserzione deve diventare una costante in tutte le iniziative volte a fermare la guerra.
Impegnarsi quindi con interventi dentro e fuori le scuole e le università che denuncino la cultura militarista e le relazioni con l’industria bellica in cui queste sono invischiate.
Bisogna essere presenti nei luoghi di lavoro ed in particolar modo davanti le aziende che fanno la guerra, sensibilizzando i lavoratori affinché si mobilitino per la loro riconversione
ad usi civili.
In Sicilia, come anche sul restante territorio italiano, dobbiamo pensare a reti di mutuo appoggio popolare in previsione dell’arrivo della guerra nel nostro paese.
La FAS si riconosce nel disfattismo rivoluzionario, nella disubbidienza civile, nell’obiezione individuale e di massa; cerca di rompere le attuali logiche imperialiste, capitaliste, nazionaliste e autoritarie, rifiutando le divisioni imposte dai confini, respingendo il concetto di integrità territoriale e di difesa nazionale, perché tali concezioni sono costituenti delle idee patriottiche, che nascondono le divisioni tra sfruttati e sfruttatori e tra oppressi e oppressori.
Lottiamo contro la guerra e gli eserciti con una volontà che sappia identificare le relazioni tra l’ideologia militare e le altre forme di oppressione, quali il patriarcato, il capitalismo e il razzismo, creando e praticando nuove forme di relazioni umane.
Federazione Anarchica Siciliana
contatti: fas.corrispondenza@inventati.org – fasiciliana.noblogs.org
– luglio 2024
(documento in formato pdf)